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Un bidello in comune

5 dicembre 2009
Ho un contratto a tempo determinato presso il comune di Tiribulloccheri. Sono un semplice impiegato (categoria C). A gennaio sarò senza lavoro, qual’ora non me lo rinnovassero. Considerando che il mio secondo lavoro di pusher in discoteca mi frutta almeno mille euro a serata, mi basta lavorare due sere al mese per avere un ottimo stipendio, pur rischiando la galera. Si sa bene che in Italia conviene delinquere. Ma torniamo all’impiego statale. Con me lavorano diversi colleghi al di sopra della cinquantina, tutti col contratto a tempo indeterminato. Non voglio far polemica sui loro contratti in esclusiva, ma proprio non capisco perché alcuni di loro, sono passati dalla categoria B alla C per anzianità. Allora mi conveniva iniziare a fare concorsi come bidello a diciotto anni piuttosto che svernare all’università fino a quasi trenta. Avrei pulito cessi per qualche anno, ma poi la mia saggezza bidellizia si sarebbe convertita in saggezza impiegatizia. Non me ne vogliano i bidelli eh. Ma avrei fatto a meno di investire un sacco di soldi nell’inutile e famigerata università italiana. Altro aspetto da considerare è quello della rabbia conservatrice dei colleghii cinquantenni. Già facciamo meno di un cazzo al giorno. Appena provo a fare un po’ più di quel cazzo quotidiano, mi apostrofano con ammonizioni del tipo “non siamo competenti per quella cosa lì” o “chi ti ha chiesto di fare quella cosa là” o addirittura “poi mi tocca venire a controllarti”.
Concludo esprimendo un desiderio per l’anno venturo: Caro babbo natale, a questo giro vorrei solo imparare un centesimo dei metodi usati dai miei consumati e salomonici colleghi per grattarsi le palle. Almeno imparo qualcosa.

“Abbiamo fallito…” – grazie al cazzo che avete fallito. Avete fallito sì.

30 novembre 2009

L’accorata lettera di un cinquantenne al figlio neolaureato, da Repubblica.

repubblica.it

I cinquantenni si confermano patetici anche nell’ammettere le proprie colpe.

[intanto il tizio è stato direttore della RAI e ora dirige la LUISS, per cui qualcosa ci dice che in qualche modo il figliolo si arrangerà, dio*****].

Confetti Rombobleu.

27 novembre 2009

Giacché prima negli autunni rinsavivi,

qualche cosa ti restava da insegnare.

Ora tosto ti fai il pien di pasticchini,

e  i pertugi pensi solo a impollinare.

Torquato da Scansano.

Il cinquantenne della settimana. Renato Brunetta.

26 novembre 2009
Figlio di un venditore ambulante, professore prima associato poi ordinario presso la facoltà di economia e commercio di Tor Vergata, consigliere economico nei governi Craxi I e II, ministro della pubblica amministrazione nel governo Berlusconi, Nobel mancato e nano per solidarietà ai veritici istituzionali: this is René Brunetta. Di formazione socialista (sono partiti tutti così) alla ribalta nel IV governo di Silvio B. è forse il più aulico esempio di “caproespiatorismo” dopo la docenza del premier. Riesce a raccogliere in un sol fascio d’erba il malcontento dell’italiano medio attraverso gli attacchi ai fannulloni della pubblica amministrazione, ai panzerotti della polizia (bella fica lui invece) e al consiglio superiore della magistratura. Tanto per battere il ferro finché è caldo, nel settembre del 2009 dichiara: “Ci sono élite irresponsabili che stanno preparando un vero e proprio colpo di Stato” riferendosi alla “sinistra per male” che secondo lui dovrebbe “andare a morire ammazzata” (fonti Corriere della sera e Repubblica). Che classe, non c’è che dire. Una perfetta sintesi di allarmismo e qualunquismo anticomunista. Chiaramente non ci è dato sapere come e quando riusciranno a fare questo colpo di stato. E poi ancora decine di incazzature populistiche contro il mito della nullafacente pubblica amministrazione. Come se l’allenatore di una squadra di calcio si mettesse a insultare i propri giocatori per incoraggiarli. Peccato che la legge Brunetta del 2009, assai diversa dal decreto, NON preveda che l’amministrazione della presidenza del consiglio dei ministri sia vincolata al principio di trasparenza né a quello di valutazione indipendente, come sarà invece per la pubbilca amministrazione sui generis. Bell’esempio René. Continua così che Licio Gelli prima o poi ti invita a cena (se già non lo ha fatto).

 

“Qualcosa insieme nella pausa pranzo”.

25 novembre 2009

Non vi potete rendere conto!!! Io odio quella generazione di unti con la forfora sulla camicia a righine fini Conte of Florence che vorrebbe mimetizzare ma non mimetizza….Mi tocca vederle di quelle nere in ufficio. C’è un bavoso che arriva sempre col giubbotto all’ora di pranzo, che lo so che ha moglie, figli e una trenata di cani e gatti a cui badare, tutto bello serafico come se niente fosse si accosta pieghevole all’orecchio della media Luana, che pensa solo ai suoi cazzi, e non è nemmeno bella, fa il suo lavoro certosina. Lui si avvicina e gli fa: “Prendiamo qualcosa insieme nella pausa pranzo? Offro io…” E lei lì, imbarazzata, titubante, senza ben sapere come muoversi, che se magari dice no poi chissà cosa pensa, il direttore lui o chi altro, accampa scuse che ha da fare, che ha del lavoro arretrato etc… Che poi lo so, che il morbo è quello di tutta sta generazione di fenomeni qui: magari non se la vorrebbe nemmeno sbattere la Luana, è il terrore del buco, dell’horror vacui nel piatto da affrontare da solo, senza televisione né voci di parenti da schivare che atterrisce, e la Luana, che magari pranzerebbe per i cazzi sua ascoltando l’I-pod, deve riempire….

[Inviato da Francesca V.]

La redazione risponde: “I cinquantenni e la tecnologia”

24 novembre 2009
Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
Gentile redazione,
ho scoperto per caso il vostro blog e vorrei aggiungere una mia breve considerazione circa il rapporto, di cui non mi sembra abbiate finora parlato, tra i cinquantenni e la tecnologia.
Quante volte avete sentito i cinquantenni vantarsi di “non avere il cellulare”, di “provare orrore nei confronti del computer”? Dietro le giustificazioni che di solito dicono essere alla base della loro scelta (l’ostinata difesa dei valori di una volta di fronte al mondo tecnologizzato) c’è, come al solito, una delle caratteristiche più evidenti di questa generazione di garantiti : la pigrizia.
Sono ben consapevoli della comodità derivata dall’utilizzo di internet e del computer, ma lungi dall’aggiornarsi sanno di poter contare sui figli a casa e sui loro giovani schiavetti a lavoro per ogni tipo di lavoro che abbia a che fare col computer, dall’accensione alla spedizione di mail fino alle ricerche su google, cose che ormai pure i nostri nonni sanno fare grazie ai sempre più frequenti corsi di alfabetizzazione informatica.
Cosa ne pensate?
Piero (Pontassieve), impiegato, 26 anni
Risponde la redazione di fottuticinquantenni.
Caro Piero,
grazie della segnalazione. Hai perfettamente ragione. Se poi ti capita di avere un genitore o un capo ufficio con una monomania (quasi tutti i cinquantenni ne hanno), fanatico che ne so di Roberto Carlos o di un qualche cantautore sfigato degli anni Settanta o di un regista che ricorda loro l’infanzia non avrai pace fino a quando avrai:
– scaricato tramite emule tutti i brani possibili dell’artista in questione anche se magari questi brani li hanno già tutti su cd;
– scaricato tutti i video musicali, pure in edizioni, formati e in lingue diverse;
– passato in rassegna Youtube alla ricerca di ulteriori versioni;
– masterizzato tutto in dvd separati in ordine alfabetico o di provenienza o secondo qualche altro criterio autistico.
– ricercato ogni giorno ” preziose rarità” su ebay.
Il tutto con pressanti e continue richieste di aggiornamento, con l’insistenza che li caratterizza.
E’ inutile provare a spiegare loro il funzionamento di un masterizzatore o di una carta postepay. La fatica risulterebbe ancora maggiore.
La redazione

Monicelli sul rinnovo generazionale.

21 novembre 2009

Mario Monicelli, classe 1915, dice che il problema dell’Italia non è solo un rinnovo politico ma un generale rinnovo generazionale. Siccome parla dei giovani ma si riferisce alla classe dirigente, e siccome alla fine ha quasi cent’anni, non è azzardato ipotizzare che anche il Maestro ce l’abbia coi 50enni.

via Phonkmeister

la Ministra Meloni ci sorprende in positivo.

20 novembre 2009

(via dillinger.it)

Lettera agli accademici cinquantenni e oltre.

20 novembre 2009

Mi sono laureato in Scienze Politiche (4 anni) a 23 anni presso l’ateneo fiorentino. Considerando che per finire tale corso di laurea gli studenti impiegano in media 7 anni, mi dovrebbero allora considerare un fenomeno. In realtà ritengo di aver fatto solo quel che dovevo. Invano, per quasi un anno ho cercato un qualche impiego che riguardasse il mio corso di studi. Tempo fa mi capitò di leggere un articolo di Eco il quale obiettava ai giovani laureati il fatto di non sapersi adattare ai lavori più umili, almeno per ingranare. Ora sono 5 anni che lavoro come giardiniere presso una ditta della mia zona. La paga è decente e malgrado la fatica sulla schiena si faccia pesante verso la fine della giornata, mi ritengo abbastanza soddisfatto di questo lavoro. Tuttavia, la sera prima di coricarmi penso sempre al signor Eco che scorreggia dietro la cattedra dell’università di Bologna. Mi piacerebbe tanto domandargli: “Professor Eco, l’ho sempre stimata e tutt’ora la stimo, ma le dispiacerebbe spiegarmi a che cavolo serve studiare 20 anni se poi dopo i laureati finiscono con un paio di forbici in mano? Non sarebbe meglio svegliare i giovani dal sonno di una carriera accademica “aleatoria” verso la realtà dei fatti? Il diritto al lavoro è assai più importante del diritto allo studio, soprattutto quando questi due sono direttamente connessi. Che senso ha allora illudere le persone verso un percorso di studi che raramente porta ad una qualifica professionale? Si cerca di formare una società mediamente più istruita? Mi scusi tanto, ma io con la vostra cultura generale all’acqua di rose mi ci sciacquo le palle la mattina.

[Inviato da Claudio M.]

Master in frode di massa.

19 novembre 2009

riceviamo e volentieri pubblichiamo:

Mi sono laureata con 110 e lode nel 2006 in economia aziendale. Ho fatto il master (3 mesi) all’interno della mia facoltà spendendo la bellezza di 10000 euro, convinta del fatto che non avendo alcuna raccomandazione, avrei potuto almeno comprarmela.

Ma il vetusto cinquantacinquenne professore del master, nonché preside del corso di laurea, non solo si è intascato la suddetta cifra moltiplicata per 30 alunni, ma ha lasciato l’intera classe (dopo un master dai contenuti a dir poco salottieri) allo stage di 3 mesi presso una delle ampollose aziende convenzionate con l’università. A loro volta le aziende hanno accolto con fiori e confetti sì tanti studenti, ora stagisti, ora minchioni (ovvero impiegati non stipendiati). La maggioranza degli alunni dopo lo stage se n’è tornata diretta a casa con un pugno di mosche. Io che mi reputo fortunata ho proseguito per 6 mesi con un rimborso spese di 500 euro; come direbbe mia nonna “tirati su le poppe”.

Dopo quest’ultimo periodo mi sono ritrovata senza occupazione e con la strana sensazione di averlo preso nel deretano: chissà come se la godrà il vetusto professore con tutti i quattrini che ci ha spillato e che annualmente spilla agli ingenui studenti del suo corso di laurea.

[Inviato da Serena R.]